Impresa familiare: la Corte Costituzionale dichiara illegittimi gli artt 230-bis e 230-ter cc.
Impresa familiare: la Corte Costituzionale dichiara illegittimi gli artt 230-bis e 230-ter cc.
La Corte Costituzionale con sentenza n. 148 del 2024 del 4 luglio 2024, ha dichiarato l’illegittimità costituzionale dell’art. 230-bis, terzo comma c.c. nella parte in cui non prevede come familiare – oltre al coniuge, ai parenti entro il terzo grado e agli affini entro il secondo – anche il “convivente di fatto” e come impresa familiare quella cui collabora anche il convivente di fatto.
L’impresa familiare è l’istituto introdotto nel nostro ordinamento con la Riforma del diritto di famiglia del 1975, avente natura residuale in quanto finalizzato a riconoscere una tutela minima ed inderogabile ai rapporti che si svolgono nell’ambito dell’aggregato familiare e che non sono direttamente riconducibili ad uno specifico rapporto di lavoro come quello subordinato. Ai sensi della norma in commento il familiare che presta la sua attività lavorativa in modo continuativo nella famiglia o nell’impresa vanta una serie di diritti di natura patrimoniale e amministrativa.
Tali diritti sono riconosciuti al coniuge, ai parenti entro il terzo grado, agli affini entro il secondo grado dell’imprenditore.
La Legge Cirinnà (Legge n. 76 del 2016), ha introdotto nel codice civile l’art. 230-ter il quale riconosce al convivente di fatto una tutela più ridotta in quanto limitata solo ad alcuni dei diritti riservati ai familiari dall’art. 230-bis cc. Da qui l’evidente disparità di trattamento riservato al convivente di fatto.
E’ intervenuta sul punto la Corte Costituzionale dichiarando incostituzionale l’art. 230-bis c.c. nonché l’art. 230-ter c.c. Secondo la Corte Costituzionale l’evoluzione della normativa nazionale e della giurisprudenza costituzionale ha riconosciuto piena dignità alla famiglia composta da conviventi di fatto. Rimangono le differenze di disciplina rispetto alla famiglia fondata sul matrimonio; ma quando si tratta di diritti fondamentali, come il diritto al lavoro e alla giusta retribuzione, questi devono essere riconosciuti a tutti senza distinzioni.